Politica
Schiavi cinesi a Trani, il commento di Francesco Ventola
La riflessione del consigliere regionale dei Conservatori e Riformisti al blitz dei Carabinieri
Ruvo - lunedì 27 giugno 2016
6.28
«Gli schiavi della porta accanto. E così finiamo per scandalizzarci, o per far finta di farlo, guardando i reportage che arrivano dall'India o dalla Cina dove operai sono costretti a condizioni di lavoro inumano e assurdo. E poi accettiamo che gli stessi operai abbiamo identiche condizioni di lavoro a casa nostra».
Lo afferma il consigliere regionale dei Conservatori e Riformisti, Francesco Ventola, dopo il sequestro preventivo di un capannone di Trani operato dai Carabinieri: i militari hanno accertato la presenza di una 30ina di cittadini provenienti da più distretti della Cina, impiegati all'interno di un prefabbricato di diverse centinaia di metri quadri, all'interno del quale non solo prestavano attività lavorativa, ma, in condizioni di scarso igiene e costipati, addirittura vivevano.
Eloquenti le immagini dei locali adibiti a refettorio, dormitorio e servizi igienici: carente la pulizia generale, disordine e rifiuti regnano sovrani, il tutto frammisto ad alimenti e persino a taniche contenenti materiale infiammabile. Tre i denunciati: il proprietario ed il locatario dell'immobile, entrambi tranesi, ed il titolare d'impresa, quest'ultimo residente a Ruvo di Puglia, ma di nazionalità cinese.
«Francamente - prosegue Ventola - la scoperta dei 30 cinesi sorpresi a vivere e lavorare a Trani in un prefabbricato utilizzato come tomaificio non mi ha sorpreso più di tanto. I calzaturifici del nord Barese erano e sono il fiore all'occhiello di un'economia che dettava e detta non solo i numeri della produzione ma anche la moda in Italia. Molte grandi firme venivano e vengono a realizzare le loro creazioni in pelle nel nostro territorio.
Un territorio dalla doppia faccia: quello di instancabili e seri imprenditori locali che nonostante la crisi continuano a credere a investire in Italia e quello che oggi è oggetto di un'inchiesta della Procura di Trani. Negli ultimi anni molte le aziende hanno chiuso perché produrre in Italia non conveniva più, meglio farlo nel Terzo Mondo a prezzi stracciati rispetto ai nostri, anche grazie a una mano d'opera sottopagata. Oggi il Terzo Mondo è casa nostra.
Il cambiamento è avvenuto sotto gli occhi anche dei sindacati che hanno inseguito un modello di organizzazione di lavoro non compatibile con le regole della globalizzazione e alla fine non solo gli operai ma anche gli imprenditori sono diventati cinesi, con il paradosso che spesso sono loro ad assumere gli ex proprietari italiani.
In un mondo globalizzato le regole del mercato e il rispetto della dignità umana deve avere la stessa lingua e le stesse norme se deve portare benessere globale, altrimenti avremo solo una disparità globale a scapito proprio di quegli imprenditori che, invece, nel Made in Italy ci crede ancora».
Lo afferma il consigliere regionale dei Conservatori e Riformisti, Francesco Ventola, dopo il sequestro preventivo di un capannone di Trani operato dai Carabinieri: i militari hanno accertato la presenza di una 30ina di cittadini provenienti da più distretti della Cina, impiegati all'interno di un prefabbricato di diverse centinaia di metri quadri, all'interno del quale non solo prestavano attività lavorativa, ma, in condizioni di scarso igiene e costipati, addirittura vivevano.
Eloquenti le immagini dei locali adibiti a refettorio, dormitorio e servizi igienici: carente la pulizia generale, disordine e rifiuti regnano sovrani, il tutto frammisto ad alimenti e persino a taniche contenenti materiale infiammabile. Tre i denunciati: il proprietario ed il locatario dell'immobile, entrambi tranesi, ed il titolare d'impresa, quest'ultimo residente a Ruvo di Puglia, ma di nazionalità cinese.
«Francamente - prosegue Ventola - la scoperta dei 30 cinesi sorpresi a vivere e lavorare a Trani in un prefabbricato utilizzato come tomaificio non mi ha sorpreso più di tanto. I calzaturifici del nord Barese erano e sono il fiore all'occhiello di un'economia che dettava e detta non solo i numeri della produzione ma anche la moda in Italia. Molte grandi firme venivano e vengono a realizzare le loro creazioni in pelle nel nostro territorio.
Un territorio dalla doppia faccia: quello di instancabili e seri imprenditori locali che nonostante la crisi continuano a credere a investire in Italia e quello che oggi è oggetto di un'inchiesta della Procura di Trani. Negli ultimi anni molte le aziende hanno chiuso perché produrre in Italia non conveniva più, meglio farlo nel Terzo Mondo a prezzi stracciati rispetto ai nostri, anche grazie a una mano d'opera sottopagata. Oggi il Terzo Mondo è casa nostra.
Il cambiamento è avvenuto sotto gli occhi anche dei sindacati che hanno inseguito un modello di organizzazione di lavoro non compatibile con le regole della globalizzazione e alla fine non solo gli operai ma anche gli imprenditori sono diventati cinesi, con il paradosso che spesso sono loro ad assumere gli ex proprietari italiani.
In un mondo globalizzato le regole del mercato e il rispetto della dignità umana deve avere la stessa lingua e le stesse norme se deve portare benessere globale, altrimenti avremo solo una disparità globale a scapito proprio di quegli imprenditori che, invece, nel Made in Italy ci crede ancora».