
Vita di città
Il profumo della Pasqua: quando a Ruvo di Puglia si portavano i dolci nei forni del paese
Un’antica tradizione ormai scomparsa: taralli e scarcelle venivano cotti nei forni comunitari durante la Settimana Santa
Ruvo - domenica 13 aprile 2025
Il profumo intenso dei taralli appena sfornati e la dolcezza delle scarcelle decorate a mano annunciavano, un tempo, l'arrivo della Pasqua a Ruvo di Puglia.
Ma non nelle case, bensì nei forni pubblici e nei panifici cittadini, che durante la Settimana Santa si trasformavano in centri di comunità. Oggi questa consuetudine è solo un ricordo: i forni cittadini, quelli a legna incassati tra le vie del centro storico, non ci sono più. Ma la memoria di quel rito popolare, tramandato per generazioni, continua a vivere nei ricordi dei ruvesi.
Nel periodo quaresimale, la cucina ruvestina assumeva un tono austero, in sintonia con lo spirito penitenziale della Settimana Santa. Le pietanze escludevano carne e derivati, privilegiando invece verdure, legumi, pesce salato. Tra i piatti emblematici: il calzone di cipolla con baccalà e spaghetti, le alici salate servite il Giovedì Santo e il baccalà arrostito sui carboni.
A ridosso della Pasqua, però, le tavole si arricchivano di dolci semplici ma carichi di simbolismo. E qui entrano in scena i forni.
Le scarcelle, preparate con una base di pasta frolla e decorate con glassa e confetti colorati, sono da sempre il dolce simbolo della Pasqua. Spesso assumono forme simboliche — colombe, cestini, cuori —emblema di vita e rinascita. Oltre a essere gustate in famiglia, venivano regalate ad amici, vicini e soprattutto ai più piccoli.
Insieme alle scarcelle si preparavano anche i taralli dolci glassati e quelli salati, entrambi cotti rigorosamente al forno.
A Ruvo, fino a qualche decennio fa, il pane non si faceva in casa ma si portava a cuocere nei forni del quartiere. Durante la Settimana Santa, questi stessi forni accoglievano teglie colme di impasti dolci, pronte per essere infornate. Le donne arrivavano a piedi, portando le scarcelle su assi di legno coperte da canovacci. Aspettavano pazientemente il proprio turno, tra chiacchiere, profumi e il calore del fuoco.
Quel momento era un rito. Si respirava l'attesa della festa, si scambiavano consigli e ricette, si assaporava, in anticipo, il gusto della Pasqua.
Con la modernizzazione e la chiusura dei vecchi forni a legna, questa tradizione ha lentamente lasciato spazio a nuove abitudini domestiche e alla produzione industriale. I panifici esistono ancora, ma non hanno più la stessa funzione comunitaria di un tempo.
Eppure, in alcune famiglie ruvesi, la tradizione sopravvive in forma privata: si preparano ancora le scarcelle secondo le antiche ricette, si raccontano ai bambini le storie di quando si andava "a cuocere al forno", e si prova a ricreare quel senso di festa che nasceva dalla condivisione.
Ma non nelle case, bensì nei forni pubblici e nei panifici cittadini, che durante la Settimana Santa si trasformavano in centri di comunità. Oggi questa consuetudine è solo un ricordo: i forni cittadini, quelli a legna incassati tra le vie del centro storico, non ci sono più. Ma la memoria di quel rito popolare, tramandato per generazioni, continua a vivere nei ricordi dei ruvesi.
Nel periodo quaresimale, la cucina ruvestina assumeva un tono austero, in sintonia con lo spirito penitenziale della Settimana Santa. Le pietanze escludevano carne e derivati, privilegiando invece verdure, legumi, pesce salato. Tra i piatti emblematici: il calzone di cipolla con baccalà e spaghetti, le alici salate servite il Giovedì Santo e il baccalà arrostito sui carboni.
A ridosso della Pasqua, però, le tavole si arricchivano di dolci semplici ma carichi di simbolismo. E qui entrano in scena i forni.
Le scarcelle, preparate con una base di pasta frolla e decorate con glassa e confetti colorati, sono da sempre il dolce simbolo della Pasqua. Spesso assumono forme simboliche — colombe, cestini, cuori —emblema di vita e rinascita. Oltre a essere gustate in famiglia, venivano regalate ad amici, vicini e soprattutto ai più piccoli.
Insieme alle scarcelle si preparavano anche i taralli dolci glassati e quelli salati, entrambi cotti rigorosamente al forno.
A Ruvo, fino a qualche decennio fa, il pane non si faceva in casa ma si portava a cuocere nei forni del quartiere. Durante la Settimana Santa, questi stessi forni accoglievano teglie colme di impasti dolci, pronte per essere infornate. Le donne arrivavano a piedi, portando le scarcelle su assi di legno coperte da canovacci. Aspettavano pazientemente il proprio turno, tra chiacchiere, profumi e il calore del fuoco.
Quel momento era un rito. Si respirava l'attesa della festa, si scambiavano consigli e ricette, si assaporava, in anticipo, il gusto della Pasqua.
Con la modernizzazione e la chiusura dei vecchi forni a legna, questa tradizione ha lentamente lasciato spazio a nuove abitudini domestiche e alla produzione industriale. I panifici esistono ancora, ma non hanno più la stessa funzione comunitaria di un tempo.
Eppure, in alcune famiglie ruvesi, la tradizione sopravvive in forma privata: si preparano ancora le scarcelle secondo le antiche ricette, si raccontano ai bambini le storie di quando si andava "a cuocere al forno", e si prova a ricreare quel senso di festa che nasceva dalla condivisione.