Speciale
Gli auguri di un Buon Natale da don Nicolò Tempesta alla città
Il parroco della parrocchia Santa Lucia lascia un messaggio a tutti i cittadini
Ruvo - martedì 24 dicembre 2024
Mi piace molto suggerire per questo Natale "La cicatrice di Betlemme" il presepe di guerra creato dal famoso artista britannico Banksy: una piccola mangiatoia con il Bambino Gesù, Maria e Giuseppe adagiati davanti a dei pesanti blocchi di cemento, perforati da un colpo di mortaio, un grande buco che, sopra l'immagine della Natività, appare come una stella.
Mi ricorda che davanti al mistero del Natale portiamo tutti la ricchezza e la povertà della nostra vita, della nostra intelligenza e dei nostri sentimenti, e vogliamo metterci davanti a tutto ciò che questa festa vuol dire ancora all'umanità e al mondo, come persone che vogliono con umiltà imparare una "lezione" da questo Dio che si presenta a noi fragile e piccolo come qualunque figlio dell'uomo all'inizio della sua esistenza.
Di fronte a Dio con tutte le nostre contraddizioni, quale parola possiamo dire? Rimanere zitti o imparare un linguaggio nuovo? Dovremmo (re)imparare la lezione di essenzialità di Betlemme, noi che viviamo l'epoca dell'intelligenza artificiale e recuperare finalmente la vita non come un algoritmo o un'operazione matematica ma come sintesi di cielo e terra, peccato e Grazia e ripartire da Betlemme come i pastori. La vita - la nostra vita personale, ma anche la vita politica e sociale delle nostre comunità - è più ricca dei nostri calcoli quando è vissuta in pienezza, quando unisce e non divide.
La lirica di un convertito del Novecento, il poeta Clemente Rebora, descrive così il suo incontro con la fede che ha cambiato la sua esistenza: "Quasi maestro agli altri mi porgevo; / ma qualcosa era dentro me severo: / Ferma il mio dire, se non dico il vero. / La Parola zittì chiacchiere mie.".
Imparare la lezione di Betlemme, può significare anche per noi smetterla – secondo l'immagine di Rebora – di porci da maestri, far zittire le troppe chiacchiere e ripartire dalla stalla di Betlemme che mette insieme le nostre contraddizioni, ci aiuta a fare unità e a cogliere il Divino nascosto nell'umano. Buon Natale!
Don Nicolò Tempesta
Mi ricorda che davanti al mistero del Natale portiamo tutti la ricchezza e la povertà della nostra vita, della nostra intelligenza e dei nostri sentimenti, e vogliamo metterci davanti a tutto ciò che questa festa vuol dire ancora all'umanità e al mondo, come persone che vogliono con umiltà imparare una "lezione" da questo Dio che si presenta a noi fragile e piccolo come qualunque figlio dell'uomo all'inizio della sua esistenza.
Di fronte a Dio con tutte le nostre contraddizioni, quale parola possiamo dire? Rimanere zitti o imparare un linguaggio nuovo? Dovremmo (re)imparare la lezione di essenzialità di Betlemme, noi che viviamo l'epoca dell'intelligenza artificiale e recuperare finalmente la vita non come un algoritmo o un'operazione matematica ma come sintesi di cielo e terra, peccato e Grazia e ripartire da Betlemme come i pastori. La vita - la nostra vita personale, ma anche la vita politica e sociale delle nostre comunità - è più ricca dei nostri calcoli quando è vissuta in pienezza, quando unisce e non divide.
La lirica di un convertito del Novecento, il poeta Clemente Rebora, descrive così il suo incontro con la fede che ha cambiato la sua esistenza: "Quasi maestro agli altri mi porgevo; / ma qualcosa era dentro me severo: / Ferma il mio dire, se non dico il vero. / La Parola zittì chiacchiere mie.".
Imparare la lezione di Betlemme, può significare anche per noi smetterla – secondo l'immagine di Rebora – di porci da maestri, far zittire le troppe chiacchiere e ripartire dalla stalla di Betlemme che mette insieme le nostre contraddizioni, ci aiuta a fare unità e a cogliere il Divino nascosto nell'umano. Buon Natale!
Don Nicolò Tempesta