Trent'anni di fede e servizio: intervista a don Pietro Rubini, parroco della Concattedrale di Ruvo di Puglia
Il cammino vocazionale, le prime impressioni sulla comunità ruvese e le iniziative per il patrimonio culturale
lunedì 17 giugno 2024
9.10
In occasione del trentesimo anniversario della sua ordinazione, don Pietro Rubini, parroco della Concattedrale di Ruvo di Puglia, condivide con noi un percorso ricco di esperienze. Dall'origine della sua vocazione ai vari ruoli ricoperti nel suo ministero sacerdotale, don Pietro ha saputo intrecciare la sua missione con la vita della comunità.
In questa intervista, racconta del suo arrivo a Ruvo, delle sue prime impressioni sulla comunità, delle celebrazioni e delle iniziative per il recupero del patrimonio culturale della Cattedrale, offrendo uno sguardo sul futuro e gli obiettivi a lungo termine per la sua parrocchia.
Don Pietro, può raccontarci un po' di lei e del suo percorso che l'ha portata a Ruvo?
«Sono prete da trent'anni. La mia storia vocazionale comincia dalla Parrocchia dei Santi Medici in Terlizzi dove, nel settembre del 1983, dopo gli esami di terza media, ho maturato la decisione di entrare nella Comunità del Seminario Minore. Da lì ho proseguito il mio percorso di formazione presso il Pontificio Seminario Regionale di Molfetta fino all'Ordinazione presbiterale, il 28 giugno 1994.
Ho vissuto gran parte del mio ministero nell'ambito vocazionale e laicale. Per 17 anni ho speso le mie energie di giovane prete a servizio delle vocazioni, sia come vice-rettore e rettore del Seminario Diocesano, sia come responsabile del Propedeutico; per 19 anni sono stato Assistente dell'Azione Cattolica Diocesana. Tra i vari compiti, ho svolto il servizio di segretario particolare del Vescovo, di vice-parroco presso la comunità di S. Achille, di Direttore del Museo Diocesano, di segretario della Visita pastorale del nostro Vescovo. Negli ultimi 10 anni, prima di iniziare la nuova avventura a Ruvo, ho svolto il mio ministero a Giovinazzo come parroco di San Domenico e rettore della Chiesa dello Spirito Santo. Attualmente, oltre ad essere parroco della Cattedrale di Ruvo, a livello diocesano mi occupo della Liturgia, dei Ministri straordinari della Comunione, dei Diaconi permanenti, dell'Ordine del S. Sepolcro di Gerusalemme, della Scuola di Teologia di Base.
Le tre parole che riassumono il mio ministero sono: stupore – relazioni – libertà.
Stupore. Quando ripenso al mio percorso, continuo a chiedermi "perché proprio io?". La risposta che sono riuscito a darmi è che c'è una volontà misteriosa di Gesù nei miei riguardi, nella quale sono ormai immerso. Nessuno può vantare un diritto al sacerdozio. Nessuno può sceglierselo, come si sceglie un impiego qualsiasi. Per esso si può soltanto essere scelti: da Lui. Oggi, dopo 30 anni di intensa vita sacerdotale, desidero esprimere tutta la mia immensa gratitudine al Signore e alla Chiesa per un ministero che rende bella e gioiosa la mia vita e spero serva alla causa del Regno.
Relazioni. Mi rendo conto sempre di più della possibilità veramente grande che noi preti abbiamo di passare il tempo ad incontrare la gente. È un'esperienza umana straordinaria: incontrare le persone che aprono il loro cuore in una confidenza che non ha eguali nei rapporti umani e avere l'occasione di seminare la Parola che illumina, apre alla speranza, guarisce con il perdono.
Libertà. Stare con tutti con libertà interiore e affrontare tutto senza dovere nulla a nessuno se non al Signore e al suo amore.
Se mi dovessi volgere indietro non avrei alcun rimpianto. Mentre continuo a sentire tutta la mia inadeguatezza rispetto alla missione ricevuta, provo anche l'incomparabile consolazione di poter offrire a tutti il pane della vita eterna, l'abbraccio del perdono di Dio e, in particolare, la gioiosa testimonianza della mia vocazione.
Nel mio ministero sento di dover fare sempre più sintesi tra la chiesa, il sagrato e la strada/piazza. Stare in chiesa per il servizio della preghiera personale e liturgica; sul sagrato per il discernimento comunitario dei bisogni della gente; sulla piazza e nelle strade per farmi prossimo, insieme alla mia comunità, ai bisogni materiali e spirituali dell'uomo d'oggi».
Come si sta trovando nella comunità di Ruvo e quali sono le sue prime impressioni?
«Dal primo momento mi sono sentito parte della comunità ruvese, grazie all'accoglienza calorosa e fraterna che mi è stata riservata in parrocchia e nella città. Come è accaduto negli altri contesti dove ho svolto il mio ministero, anche qui, a Ruvo, mi sento a casa e provo un grande piacere nel lasciarmi contagiare dalla ricchezza del nostro popolo che si esprime nel fervore della fede, nella vivacità pastorale, nella pietà popolare e nella tradizione culturale. Questo mi aiuta molto ad essere padre e pastore, collaboratore della vostra gioia, ministro dell'eccedenza evangelica. In questi primi mesi ho cominciato a conoscere la gente che vive dentro e fuori del territorio parrocchiale: le famiglie, i bambini, i giovanissimi e i giovani, coloro che sono impegnati nel mondo del lavoro, le persone sole, gli ammalati, quelli che hanno perso l'occupazione, i poveri. Non li considero categorie a sé stanti, ma tutti parte di un unico popolo di Dio in cammino, dove ciascuno può sentire il bisogno dell'altro, prendersi cura dell'altro e lasciare che l'altro si prenda cura di lui. Sono molto contento di vivere con voi questa nuova avventura. Spero possiate esserlo anche voi».
Quella appena trascorsa è stata la sua prima festa dell'Ottavario a Ruvo. Quali sono le sue impressioni e le sue emozioni riguardo a questo evento?
«Ogni Festa patronale manifesta e riafferma l'identità di un popolo. E l'identità del popolo ruvese mi sembra un'identità profondamente religiosa, intendendo per religiosità quell'esperienza che tiene tutti uniti, credenti e non credenti, attorno a quei valori che Gesù propone nel suo Vangelo: i valori della pace, della comunione, della non violenza, della solidarietà, del rispetto, della stima.
Credo che la Festa dell'Ottavario, riproposta secondo la tradizione, sia ancora capace di dare forma al tempo e allo spazio della nostra città. Riviverla annualmente significa per noi non solo inserirci nell'onda calda della pietà eucaristica delle generazioni passate, ma anche lasciarci andare a grandi emozioni dinanzi alla maestà e alla bontà di Dio che sceglie di rimanere costantemente presente tra noi in un pezzo di pane. Proprio la processione, che si snoda ben ordinata per le strade della città, formata dal clero, dalle confraternite, dalle comunità parrocchiali, dalle associazioni laicali, dalle autorità civili e militari, accompagnata dalle preghiere e dal suono della banda, mentre il Vescovo porta e mostra il Santissimo Sacramento, evidenzia il valore aggiunto dell'Eucaristia, ovvero il suo significato sociale. Vale a dire che il Cristo presente nel Sacramento non è solo alimento e sostegno per il cammino del popolo nella storia, è anche incoraggiamento a rinnovare e a umanizzare la cultura e la vita sociale.
Nessuno deve avere paura di Gesù: Lui viene a donarci tutto, viene a liberarci dall'abbattimento e dallo sconforto, viene a rialzarci, a darci una direzione, a camminare con noi. Fare di Cristo il cuore della città non significa amputare quanto di umano ci qualifica, ma eliminare quanto di disumano ci rattrista».
Ci parli delle iniziative che sta promuovendo per il recupero del patrimonio culturale della Cattedrale. Quali sono i principali progetti in corso?
«La nostra Cattedrale è anzitutto un luogo vivo che canta la fede della nostra gente e racconta la cultura del nostro territorio. Un tempio che mette in luce non solo piccoli e grandi capolavori ma anche il loro valore per la nostra comunità ecclesiale: davanti ad alcune statue e tele di pregio artistico molti fedeli oggi come nel passato si fermano in preghiera; con paramenti sacri e vasi liturgici preziosi, Vescovo e noi presbiteri continuiamo a celebrare per il popolo di Dio i divini misteri. Dunque, la Cattedrale si presenta come una vera e propria via dell'arte lungo la quale chiunque oltre a conoscere il genio degli artisti, può cogliere l'impronta del Divino. "L'arte – affermava San Giovanni Paolo II nella lettera agli artisti – è il luogo dell'incontro col mistero, perché la bellezza delle cose create suscita la nostalgia di Dio». Allo scopo di favorire tale incontro, penserei di attrezzare sia la Chiesa che l'Ipogeo di ausilii didattici e supporti multimediali che potranno permettere ai tanti turisti che vengono in visita di conoscere meglio le nostre radici. Sono certo che più approfondiamo da dove veniamo, meglio comprendiamo il chi siamo e il dove andiamo"».
Come può la comunità di Ruvo e i suoi fedeli contribuire a questi progetti?
«Il primo passo che la comunità ruvese potrebbe compiere è quello di prendere coscienza del grande patrimonio artistico della Cattedrale, parte del quale andrebbe recuperato e restaurato. Il secondo passo consiste in un'azione condivisa nel reperire i fondi finalizzati al restauro programmato delle opere».
Come vede il futuro del patrimonio culturale della Cattedrale e della sua preservazione?
«Ho trovato il patrimonio architettonico in ottimo stato e su questa scia intendo continuare, preservando anche il patrimonio artistico».
Quali sono i suoi obiettivi a lungo termine per la Cattedrale e per la comunità di Ruvo?
«Sogno una Comunità che ruota attorno a sette caratteristiche:
In questa intervista, racconta del suo arrivo a Ruvo, delle sue prime impressioni sulla comunità, delle celebrazioni e delle iniziative per il recupero del patrimonio culturale della Cattedrale, offrendo uno sguardo sul futuro e gli obiettivi a lungo termine per la sua parrocchia.
Don Pietro, può raccontarci un po' di lei e del suo percorso che l'ha portata a Ruvo?
«Sono prete da trent'anni. La mia storia vocazionale comincia dalla Parrocchia dei Santi Medici in Terlizzi dove, nel settembre del 1983, dopo gli esami di terza media, ho maturato la decisione di entrare nella Comunità del Seminario Minore. Da lì ho proseguito il mio percorso di formazione presso il Pontificio Seminario Regionale di Molfetta fino all'Ordinazione presbiterale, il 28 giugno 1994.
Ho vissuto gran parte del mio ministero nell'ambito vocazionale e laicale. Per 17 anni ho speso le mie energie di giovane prete a servizio delle vocazioni, sia come vice-rettore e rettore del Seminario Diocesano, sia come responsabile del Propedeutico; per 19 anni sono stato Assistente dell'Azione Cattolica Diocesana. Tra i vari compiti, ho svolto il servizio di segretario particolare del Vescovo, di vice-parroco presso la comunità di S. Achille, di Direttore del Museo Diocesano, di segretario della Visita pastorale del nostro Vescovo. Negli ultimi 10 anni, prima di iniziare la nuova avventura a Ruvo, ho svolto il mio ministero a Giovinazzo come parroco di San Domenico e rettore della Chiesa dello Spirito Santo. Attualmente, oltre ad essere parroco della Cattedrale di Ruvo, a livello diocesano mi occupo della Liturgia, dei Ministri straordinari della Comunione, dei Diaconi permanenti, dell'Ordine del S. Sepolcro di Gerusalemme, della Scuola di Teologia di Base.
Le tre parole che riassumono il mio ministero sono: stupore – relazioni – libertà.
Stupore. Quando ripenso al mio percorso, continuo a chiedermi "perché proprio io?". La risposta che sono riuscito a darmi è che c'è una volontà misteriosa di Gesù nei miei riguardi, nella quale sono ormai immerso. Nessuno può vantare un diritto al sacerdozio. Nessuno può sceglierselo, come si sceglie un impiego qualsiasi. Per esso si può soltanto essere scelti: da Lui. Oggi, dopo 30 anni di intensa vita sacerdotale, desidero esprimere tutta la mia immensa gratitudine al Signore e alla Chiesa per un ministero che rende bella e gioiosa la mia vita e spero serva alla causa del Regno.
Relazioni. Mi rendo conto sempre di più della possibilità veramente grande che noi preti abbiamo di passare il tempo ad incontrare la gente. È un'esperienza umana straordinaria: incontrare le persone che aprono il loro cuore in una confidenza che non ha eguali nei rapporti umani e avere l'occasione di seminare la Parola che illumina, apre alla speranza, guarisce con il perdono.
Libertà. Stare con tutti con libertà interiore e affrontare tutto senza dovere nulla a nessuno se non al Signore e al suo amore.
Se mi dovessi volgere indietro non avrei alcun rimpianto. Mentre continuo a sentire tutta la mia inadeguatezza rispetto alla missione ricevuta, provo anche l'incomparabile consolazione di poter offrire a tutti il pane della vita eterna, l'abbraccio del perdono di Dio e, in particolare, la gioiosa testimonianza della mia vocazione.
Nel mio ministero sento di dover fare sempre più sintesi tra la chiesa, il sagrato e la strada/piazza. Stare in chiesa per il servizio della preghiera personale e liturgica; sul sagrato per il discernimento comunitario dei bisogni della gente; sulla piazza e nelle strade per farmi prossimo, insieme alla mia comunità, ai bisogni materiali e spirituali dell'uomo d'oggi».
Come si sta trovando nella comunità di Ruvo e quali sono le sue prime impressioni?
«Dal primo momento mi sono sentito parte della comunità ruvese, grazie all'accoglienza calorosa e fraterna che mi è stata riservata in parrocchia e nella città. Come è accaduto negli altri contesti dove ho svolto il mio ministero, anche qui, a Ruvo, mi sento a casa e provo un grande piacere nel lasciarmi contagiare dalla ricchezza del nostro popolo che si esprime nel fervore della fede, nella vivacità pastorale, nella pietà popolare e nella tradizione culturale. Questo mi aiuta molto ad essere padre e pastore, collaboratore della vostra gioia, ministro dell'eccedenza evangelica. In questi primi mesi ho cominciato a conoscere la gente che vive dentro e fuori del territorio parrocchiale: le famiglie, i bambini, i giovanissimi e i giovani, coloro che sono impegnati nel mondo del lavoro, le persone sole, gli ammalati, quelli che hanno perso l'occupazione, i poveri. Non li considero categorie a sé stanti, ma tutti parte di un unico popolo di Dio in cammino, dove ciascuno può sentire il bisogno dell'altro, prendersi cura dell'altro e lasciare che l'altro si prenda cura di lui. Sono molto contento di vivere con voi questa nuova avventura. Spero possiate esserlo anche voi».
Quella appena trascorsa è stata la sua prima festa dell'Ottavario a Ruvo. Quali sono le sue impressioni e le sue emozioni riguardo a questo evento?
«Ogni Festa patronale manifesta e riafferma l'identità di un popolo. E l'identità del popolo ruvese mi sembra un'identità profondamente religiosa, intendendo per religiosità quell'esperienza che tiene tutti uniti, credenti e non credenti, attorno a quei valori che Gesù propone nel suo Vangelo: i valori della pace, della comunione, della non violenza, della solidarietà, del rispetto, della stima.
Credo che la Festa dell'Ottavario, riproposta secondo la tradizione, sia ancora capace di dare forma al tempo e allo spazio della nostra città. Riviverla annualmente significa per noi non solo inserirci nell'onda calda della pietà eucaristica delle generazioni passate, ma anche lasciarci andare a grandi emozioni dinanzi alla maestà e alla bontà di Dio che sceglie di rimanere costantemente presente tra noi in un pezzo di pane. Proprio la processione, che si snoda ben ordinata per le strade della città, formata dal clero, dalle confraternite, dalle comunità parrocchiali, dalle associazioni laicali, dalle autorità civili e militari, accompagnata dalle preghiere e dal suono della banda, mentre il Vescovo porta e mostra il Santissimo Sacramento, evidenzia il valore aggiunto dell'Eucaristia, ovvero il suo significato sociale. Vale a dire che il Cristo presente nel Sacramento non è solo alimento e sostegno per il cammino del popolo nella storia, è anche incoraggiamento a rinnovare e a umanizzare la cultura e la vita sociale.
Nessuno deve avere paura di Gesù: Lui viene a donarci tutto, viene a liberarci dall'abbattimento e dallo sconforto, viene a rialzarci, a darci una direzione, a camminare con noi. Fare di Cristo il cuore della città non significa amputare quanto di umano ci qualifica, ma eliminare quanto di disumano ci rattrista».
Ci parli delle iniziative che sta promuovendo per il recupero del patrimonio culturale della Cattedrale. Quali sono i principali progetti in corso?
«La nostra Cattedrale è anzitutto un luogo vivo che canta la fede della nostra gente e racconta la cultura del nostro territorio. Un tempio che mette in luce non solo piccoli e grandi capolavori ma anche il loro valore per la nostra comunità ecclesiale: davanti ad alcune statue e tele di pregio artistico molti fedeli oggi come nel passato si fermano in preghiera; con paramenti sacri e vasi liturgici preziosi, Vescovo e noi presbiteri continuiamo a celebrare per il popolo di Dio i divini misteri. Dunque, la Cattedrale si presenta come una vera e propria via dell'arte lungo la quale chiunque oltre a conoscere il genio degli artisti, può cogliere l'impronta del Divino. "L'arte – affermava San Giovanni Paolo II nella lettera agli artisti – è il luogo dell'incontro col mistero, perché la bellezza delle cose create suscita la nostalgia di Dio». Allo scopo di favorire tale incontro, penserei di attrezzare sia la Chiesa che l'Ipogeo di ausilii didattici e supporti multimediali che potranno permettere ai tanti turisti che vengono in visita di conoscere meglio le nostre radici. Sono certo che più approfondiamo da dove veniamo, meglio comprendiamo il chi siamo e il dove andiamo"».
Come può la comunità di Ruvo e i suoi fedeli contribuire a questi progetti?
«Il primo passo che la comunità ruvese potrebbe compiere è quello di prendere coscienza del grande patrimonio artistico della Cattedrale, parte del quale andrebbe recuperato e restaurato. Il secondo passo consiste in un'azione condivisa nel reperire i fondi finalizzati al restauro programmato delle opere».
Come vede il futuro del patrimonio culturale della Cattedrale e della sua preservazione?
«Ho trovato il patrimonio architettonico in ottimo stato e su questa scia intendo continuare, preservando anche il patrimonio artistico».
Quali sono i suoi obiettivi a lungo termine per la Cattedrale e per la comunità di Ruvo?
«Sogno una Comunità che ruota attorno a sette caratteristiche:
- una Comunità formato famiglia, dove sperimentare la carezza paterna di Dio e sentirsi accolti senza pregiudizi; dove tutti possono trovare dialogo e possibilità di crescita umana e spirituale;
- una Comunità prodiga di stima e di simpatia; allergica al pettegolezzo, sorda al chiacchiericcio, sensibile alla correzione fraterna, quella finalizzata a far emergere da ciascuno il meglio, senza mortificare nessuno;
- una Comunità cantiere aperto, dove gli operai non sono mai al completo e tutti possono trovare un posto e una occupazione perché, come diceva il Beato don Pino Puglisi, "se ciascuno fa qualcosa, insieme facciamo molto" ;
- una Comunità che cammina con gioia incontro a tutti, capace di accogliere ogni tipo di vulnerabilità, generando vita, senza mai spegnere il fuoco che lo Spirito accende nei cuori;
- una Comunità che fa un passo per volta, convinta che il portare tutti, anche se con un passo più lento, vale più dell'arrivare;
- una Comunità che sia per quanti sono nel bisogno e nella necessità la "locanda aperta" che dispensa a tutte le ore l'olio della consolazione e il vino della speranza;
- una Comunità che "accetta di stare nel fiume della storia", come diceva il nostro caro don Tonino Bello, intenta a raccogliere le inquietudini del nostro tempo per lasciarsi da queste interrogare e portarle davanti a Dio.