Pino Minafra. Il Talos? Bisogna puntare sulla autenticità e porre le fondamenta per il futuro.

«Questo per me è l'ultimo tentativo possibile.»

lunedì 26 settembre 2016 9.26
A cura di Grazia Ippedico
Non ci sarà una edizione del Talos Festival 2016. E' una notizia che abbiamo dato dieci giorni fa. La gente si sta abituando all'idea, alcuni speravano ancora in una versione ridotta ad Ottobre, altri pur non seguendo l'evento si sono dichiarati delusi.

Può un evento tanto importante per Ruvo, oserei dire identificativo, essere soggetto all'avvicendarsi degli eventi? Dal '93 ad oggi è possibile che nessuno abbia pensato a radicalizzare le forze economiche per il Talos? Riuscirà Ruvo ad avere il suo appuntamento fisso, dal 2017 in poi, imperituramente? Ne parliamo con il padre, ideatore e promotore, Pino Minafra.

«Mi ero convinto che questa cosa fosse ormai finita. Durante la campagna elettorale nessuno ha parlato del Talos. Qualche accenno nel programma di Chieco, ma nessuno aveva preso l'argomento sul serio. Dopo l'elezioni, tutto questo silenzio mi aveva convinto ad abbandonare ogni genere di aspettativa. Quando si sono insediati Chieco e gli assessori, sono stati subissati da tante e tante emergenze e problematiche: non potevamo essere una priorità.
Ma siamo stati interpellati e il sindaco ha chiaramente fatto intendere che non vuol vedere questa fiammella spegnersi del tutto.»

«Il Talos Festival offre qualcosa di particolare che altri scimmiottano. La verità è che sono stanco. E' come preparare una cena per tante persone a casa propria. C'è da lavorare tanto sia prima che dopo. Se gli ospiti arrivano mangiano e se ne vanno, stile cavallette, quante altre volte puoi farlo? Io non posso più fare il Talos da solo.

Quando questo progetto è nato la mia intenzione era quella di provocare una reazione. Il problema risale alla notte dei tempi: Benedetto Croce quando parlava di formazione dell'individuo non considerava affatto la musica. L'arte veniva completamente esclusa. Ma escludeva tutto ciò che è arte nel mondo.
Negli anni novanta alla cultura era destinato un milione di lire. L'assessorato alla cultura non veniva valorizzato, era una carica passiva. Ho pensato a quello che volevo per il mio paese e ho pensato che potevo essere uno di quelli che al bar la mattina si siedono e fanno l'elenco di ciò che non va o quello che si rimbocca le maniche e fa.

Dopo più di vent'anni posso dire che è in moto un processo attivo. E' scattata una molla per rivalutare la storia. Ci chiediamo chi siamo, cosa abbiamo e cosa vogliamo. Dobbiamo, e in parte ci stiamo riuscendo, dissipare il complesso di inferiorità del Sud. Manca l'orgoglio per la nostra terra. Quando è nato il festival volevo dare un segno preciso. E dall'idea del territorio che nasce il laboratorio. Idea che va contro un festival che segue il semplice consenso. Contro i polli d'allevamento. Contro le cose preconfezionate che devono piacere a tutti.»

Quanto costa il Festival Talos? E' qualcosa che possiamo sostenere?

«Nelle nostre mani poco (nei vai plurali Pino si riferisce a se stesso e alla moglie, la pianista Margherita Porfido n.d.r.). Io non prendo niente e gli altri, gli ospiti sono stati spinti a stringere. Perché hanno capito, perché si parla di autenticità. Se si dà un motivo, un obiettivo più alto chi partecipa capisce. C'è un laboratorio: c'è un lavoro su un'idea. Bene. Noi viviamo in una dimensione più vera ed autentica. Una dimensione che la radio e la tv non ti danno, perché devono seguire il mercato. Beh, noi non cerchiamo il nome cerchiamo la qualità.

L'anno scorso il festival è costato intorno agli 80 mila euro, ma per fare un'edizione bellissima servono 200.000 euro (che non abbiamo mai speso). E duecento mila euro non sono niente. Non sono soldi che mette il comune. Il comune mette solo una piccola parte. La notte della taranta spende 1.200.000 annui.
E per fare cosa? Fanno cultura? Quei soldi non glieli tocchi più. Hanno fatto una legge, sono stati blindati. Il Talos Festival dura 10 giorni, coinvolge tutte le bande, le scuole medie, i licei, le scuole di musica. Il coinvolgimento è totale. Prende forza dalla nostra terra. Quando penso a Ruvo penso al Museo, alla cattedrale, alla settimana santa e alla musica della bande.
Se vogliamo parlare di soldi dobbiamo ammettere che Ruvo è piena di ricchezza. Si tratta di riequilibrare i valori della vita di una persona. Noi lo facciamo con la musica ma intorno alla musica si muove tutto il resto.
L'investimento economico viene reimmesso nella comunità. Il vero problema è rendere stabile il Talos e renderlo un patrimonio culturale ruvese così come lo sono le feste patronali, la settimana santa e altre realtà, che hanno un calendario fisso da proteggere.»

Che cosa è andato storto quest'anno?

« L'anno scorso avevamo sovvenzionamenti dal Comune, dalla Regione, c'era Puglia Sound, il Ministero e la comunità europea. Quest'anno ovviamente il Comune era in difficoltà, Emiliano ha detto no, Puglia Sound ha cambiato gestione... anche i privati che contribuiscono, così, vengono meno. Intanto Ruvo perde la possibilità di un indotto importante, perché un evento come quello del Talos porta al paese denaro per dieci giorni.

Perché la notte della Taranta sì e noi no? Perché siamo così soggetti al buono e al cattivo tempo?
«In Salento ci sono state persone illuminate che hanno protetto la grecia salentina; così dovrebbe accadere per noi. Ci vogliono persone e politici illuminati. E ci vuole una squadra. Noi eravamo pronti per quest'anno. Era tutto pronto. Avevamo un progetto.
Negli anni abbiamo dimostrato cosa è il Talos. Siamo stati ripresi dalla terza rete nazionale, abbiamo ospitato personalità dall'Australia, dall'Inghilterra, da Giappone. LA carta vincente è puntare sull'autenticità. Quello che noi offriamo, quello che noi abbiamo è autentico, è vero, fa parte della nostra cultura come il sangue che scorre nelle vene. Fa parte di noi.»

Secondo te il Talos può incontrare i gusti di tutti?

«Assolutamente no. Nel tentativo di accontentare tutti non accontenti nessuno. Pensa alla biennale di Venezia. Dobbiamo rischiare, osare.
Il Talos è un luogo dove si partoriscono delle idee. Abbiamo dimostrato a tutti che cosa fosse. Abbiamo visto i ragazzini galvanizzati per il fatto che dovessero suonare. IL Talos è storia, è tradizione ma èanche arte e innovazione. Cosa vogliamo fare? Restiamo tra noi o ci apriamo all'Europa e al Mondo

Ruvo è Cattedrale, Museo, storia vino olio e banda. Ma questo in solitudine non si può più fare. Siamo stati capaci di creare le cose da soli. Ma adesso sono stanco.
Non possiamo continuare ad andare a singhiozzo. Le idee si pagano. L'arte si paga. E Ruvo, la Puglia è una superpotenza culturale. Per quanto mi riguarda questo è il mio ultimo tentativo.»

Ma quello che è per te l'ultimo canto del cigno, è un tenero virgulto da coltivare per il Sindaco Chieco e l'amministrazione insediatasi a Giugno...

«Lo spero. Voglio fidarmi. Staremo a vedere.»