Mons. Cornacchia: «Auguro a tutti che la pietra tombale possa essere ribaltata da ciascuno nelle propria casa»

Il messaggio augurale del vescovo mons. Domenico Cornacchia

domenica 16 aprile 2017 8.02
«Risorgesti come Dio dalla tomba nella gloria, e con te risuscitasti il mondo, e la stirpe dei mortali come Dio t'inneggiò, e la morte è scomparsa e Adamo danza, o Signore, ed Eva, sciolta dalle catene, gioisce ed esclama: o Cristo, sei tu che concedi a tutti la risurrezione.» Inizia con un passo di Giovanni Damasceno (Ochtoéchos, I) il messaggio di Pasqua d mons. Domenico Cornacchia, vescovo della diocesi Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi-Ruvo.

«Rileggo questo passaggio del Damasceno e non posso che restare estasiato nell'immaginare la danza e la lode dei nostri progenitori che esultano davanti al Risorto: "O Cristo, sei tu che concedi a tutti la risurrezione".
Poi l'estasi si dissolve davanti alle immagini desolanti che la Tv ci consegna, da Aleppo a San Pietroburgo a Londra, a Stoccolma, a Tanta e Alessandria d'Egitto... Dinanzi agli opachi scenari politici nel mondo, dove parlare di risurrezione, in questo momento, potrebbe sembrare assurdo. È facile farlo tra i ceri, gli incensi e gli inni che irromperanno nella Notte Santa nelle chiese di tutto il mondo. Un po' meno accanto ad un capezzale o a una famiglia senza reddito, o in mezzo a macerie, morali e materiali, che rendono pesante la vita di molti.
Eppure, è proprio nella desolazione che diventa più necessaria una parola di speranza, un raggio di luce, una mano tesa. La risurrezione di Cristo è sì l'evento storico che ha rivoluzionato la creazione, che ha dato un senso profondo alla vita e alla morte, che ha restituito, almeno a noi Cristiani, la motivazione irresistibile che induce a credere in Dio, ma se noi Cristiani non ne siamo testimoni, credibili perché convinti e gioiosi, la risurrezione non può che restare un capitolo della teologia.
Mi auguro e auguro a tutti che questa Pasqua segni una svolta, un punto di non ritorno sulla strada della riconciliazione verso se stessi, la società e la natura. Verso Dio. Se c'è amore, redenzione e ottimismo, sapremo guardare le cose con occhi diversi, con maggiore fiducia.
Carissimi, sono molto grato alla Divina Provvidenza perché è la seconda Pasqua che vivo in questa Diocesi di Molfetta Ruvo Giovinazzo Terlizzi, ma mi sembra di viverla come la prima volta della storia, con accanto Gesù che chiede a noi di stargli intorno, vicino, di fissare il suo sguardo nel nostro. Egli non disdegna che noi entriamo nel ruolo delle donne che piangono, della veronica che asciuga il volto, del cireneo che porta la croce di qualcun altro, se pure per alcuni tratti di strada... Vivere la Via Crucis è come soffermarsi sulla via dolorosa dell'umanità, tanto bisognosa di riconciliazione, di armonia e di pace. Vivere la Pasqua significa annunciare che non è la legge del più forte che deve vincere, ma quella del più debole o, meglio, di chi si fa debole per amore. Il Risorto ci insegna che la morte, l'umiltà, l'umiliazione… non è l'ultima parola, ma la penultima. Il chicco di grano che marcisce è un'apparente sconfitta, ma muore per ripresentarsi moltiplicato, più ricco di frutti.
Mi auguro che sia l'esperienza che ciascuno possa vivere.
Auguro a tutti che la pietra tombale possa essere ribaltata da ciascuno nelle propria casa, in famiglia, nelle comunità e nella società.
Ci aiuti, in questo, il ricordo vivo ed operoso del Servo di Dio Antonio Bello del quale celebriamo il 24° anno della morte. Che la sua profezia di pace risuoni più forte in questi giorni segnati da rigurgiti di violenza.
Auguri a tutti!»