«Condannato illegittimamente». Il boss De Simine denuncia l'Italia alla Cedu
Secondo i legali del 54enne «l'ultimo processo si è svolto con modalità illegittime e con la violazione del diritto di difesa»
sabato 22 aprile 2023
14.58
«L'ultimo processo celebrato s'è svolto con modalità illegittime e con la violazione del diritto di difesa come previsti e tutelati sia dalle convenzioni internazionali che dalle norme interne». Per questa motivazione Felice De Simine ha deciso di citare in giudizio lo Stato italiano dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Il ricorso, per i quali l'uomo è assistito dai suoi difensori, gli avvocati Massimo Roberto Chiusolo e Claudia Terlizzi - qualora accolto - determinerebbe l'attivazione della nuova procedura introdotta, a ottobre del 2022, dalla riforma Cartabia che ha previsto, all'articolo 628 bis del codice di procedura penale, un'ipotesi speciale e innovativa di revisione del processo con richiesta di revoca della sentenza irrevocabile di condanna e cessazione della esecuzione e degli effetti della stessa.
Quello del 54enne, originario di Molfetta e residente a Ruvo di Puglia, è un nome tristemente noto alle cronache giudiziarie perché il 7 maggio 1993 partecipò ad uno degli episodi criminali maggiormente eclatanti avvenuto nel sud Italia: parcheggiò, con altri complici, una Fiat Regata, carica di tritolo, dinanzi all'ingresso del Comune di Terlizzi. L'autobomba scoppiò ferendo l'agente Gioacchino De Sario che, insospettito per la presenza dell'auto, aprì lo sportello innescando l'ordigno.
Condannato dalla Corte di Assise di Appello di Bari alla pena di 6 anni di carcere per strage, dopo essere stato scarcerato, continuò a delinquere: l'autobomba del '93, infatti, non costituì una remora per l'uomo che, il 25 febbraio 1996, commise sempre a Terlizzi un efferato delitto in concorso con altre persone (uccisero un falegname di 26 anni, Gioacchino Bisceglia, che non voleva pagare il riscatto per la sua Golf Gti rubata), omicidio per cui fu condannato a 12 anni di carcere.
Il nome dell'uomo è tornato di recente alla ribalta quando il 54enne, dopo essere stato tratto in arresto per espiare la pena di 7 anni e 9 mesi di carcere, inflittagli per un ulteriore fatto di sangue - il sanguinoso tentato omicidio di Aurelio Maggio - avvenuto a Ruvo di Puglia il 10 marzo 2007 e passata in giudicato a dicembre 2022, 15 anni dopo, ha deciso ora di citare in giudizio lo Stato per la violazione dell'articolo 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
L'uomo, infatti, ha denunciato come «l'ultimo processo celebrato a suo carico si sia svolto con le modalità illegittime e con la violazione dei diritto di difesa come previsti e tutelati sia dalle convenzioni internazionali che dalle norme interne». I due legali difensori, inoltre, denunciano come De Simine non sia stato «giudicato in tempi ragionevoli, col rispetto delle garanzie difensive e del contraddittorio» e questo avrebbe «determinato la grave dispersione di dati altamente sensibili».
Dati, tra l'altro, «contenuti nel fascicolo processuale andato disperso», sostengono gli avvocati. Ad oggi il 54enne, «sta scontando, a distanza di oltre 15 anni dal verificarsi dei fatti, una pena che terminerà di espiare allorquando avrà ben 60 anni», mentre «qualora il processo si fosse svolto in tempi ragionevoli lo stesso si sarebbe definito non oltre cinque anni dalla data di commissione del reato e, quindi, ad oggi - dicono -, il ricorrente avrebbe già scontato integralmente la pena».
De Simine, fino a cinque mesi fa, si era «reinserito socialmente dedicandosi ad una onesta attività lavorativa», mentre la detenzione avrebbe «drammaticamente interrotto un percorso di reinserimento avviato e anche consolidato, come comprovato dall'assenza, dopo il 2007, della commissione di ulteriori fatti di reato».
Il ricorso, per i quali l'uomo è assistito dai suoi difensori, gli avvocati Massimo Roberto Chiusolo e Claudia Terlizzi - qualora accolto - determinerebbe l'attivazione della nuova procedura introdotta, a ottobre del 2022, dalla riforma Cartabia che ha previsto, all'articolo 628 bis del codice di procedura penale, un'ipotesi speciale e innovativa di revisione del processo con richiesta di revoca della sentenza irrevocabile di condanna e cessazione della esecuzione e degli effetti della stessa.
Quello del 54enne, originario di Molfetta e residente a Ruvo di Puglia, è un nome tristemente noto alle cronache giudiziarie perché il 7 maggio 1993 partecipò ad uno degli episodi criminali maggiormente eclatanti avvenuto nel sud Italia: parcheggiò, con altri complici, una Fiat Regata, carica di tritolo, dinanzi all'ingresso del Comune di Terlizzi. L'autobomba scoppiò ferendo l'agente Gioacchino De Sario che, insospettito per la presenza dell'auto, aprì lo sportello innescando l'ordigno.
Condannato dalla Corte di Assise di Appello di Bari alla pena di 6 anni di carcere per strage, dopo essere stato scarcerato, continuò a delinquere: l'autobomba del '93, infatti, non costituì una remora per l'uomo che, il 25 febbraio 1996, commise sempre a Terlizzi un efferato delitto in concorso con altre persone (uccisero un falegname di 26 anni, Gioacchino Bisceglia, che non voleva pagare il riscatto per la sua Golf Gti rubata), omicidio per cui fu condannato a 12 anni di carcere.
Il nome dell'uomo è tornato di recente alla ribalta quando il 54enne, dopo essere stato tratto in arresto per espiare la pena di 7 anni e 9 mesi di carcere, inflittagli per un ulteriore fatto di sangue - il sanguinoso tentato omicidio di Aurelio Maggio - avvenuto a Ruvo di Puglia il 10 marzo 2007 e passata in giudicato a dicembre 2022, 15 anni dopo, ha deciso ora di citare in giudizio lo Stato per la violazione dell'articolo 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
L'uomo, infatti, ha denunciato come «l'ultimo processo celebrato a suo carico si sia svolto con le modalità illegittime e con la violazione dei diritto di difesa come previsti e tutelati sia dalle convenzioni internazionali che dalle norme interne». I due legali difensori, inoltre, denunciano come De Simine non sia stato «giudicato in tempi ragionevoli, col rispetto delle garanzie difensive e del contraddittorio» e questo avrebbe «determinato la grave dispersione di dati altamente sensibili».
Dati, tra l'altro, «contenuti nel fascicolo processuale andato disperso», sostengono gli avvocati. Ad oggi il 54enne, «sta scontando, a distanza di oltre 15 anni dal verificarsi dei fatti, una pena che terminerà di espiare allorquando avrà ben 60 anni», mentre «qualora il processo si fosse svolto in tempi ragionevoli lo stesso si sarebbe definito non oltre cinque anni dalla data di commissione del reato e, quindi, ad oggi - dicono -, il ricorrente avrebbe già scontato integralmente la pena».
De Simine, fino a cinque mesi fa, si era «reinserito socialmente dedicandosi ad una onesta attività lavorativa», mentre la detenzione avrebbe «drammaticamente interrotto un percorso di reinserimento avviato e anche consolidato, come comprovato dall'assenza, dopo il 2007, della commissione di ulteriori fatti di reato».